mercoledì 7 aprile 2010

Sa di natura

Dedico queste righe a chi come me è affetto da struggente nostalgia di un mondo più genuino e salutare che sicuramente è esistito ma non è detto che noi nati dagli anni settanta in poi abbiamo mai vissuto.


Ci riconoscete perché nei supermercati sostiamo pensosamente davanti all’espositore del biologico. Stiamo registrando che tutto è nettamente più caro, ma poi concludiamo che la salute non ha prezzo e quindi acquistiamo le banane a 4 euro la confezione (ce ne sono 3).

E, se siamo donne, nonostante arriviamo a sera stravolte da un mix di lavoro, figli o fidanzati o mariti e spesa al supermarket come si diceva, ci sforziamo di fare un ciambellone perché è nostro punto d’orgoglio limitare l’uso delle merendine a colazione.

Ma soprattutto, subiamo il fascino delle erboristerie. Ce n’è una dove abito io che ha queste vetrine meravigliose, molto più seducenti del negozio di estetista che segue e dell’abbigliamento che la precede. Entriamo perché ammaliati dalle vetrine e perché vogliamo combattere il logorio della vita moderna a colpi di ginseng e rosa canina. Così alterniamo farmaci tradizionali e tarassaco per depurare il fegato, antibiotici ed echinacea nella speranza di non doverli prendere l’anno prossimo. Poi ci sono i radicali. Un amico di un mio amico rifiuta categoricamente di assumere medicinali. Si è piegato solo a un mal di denti che lo stava facendo uscire di senno, argomentando comunque che “dev’esserci qualcosa di diabolico ed estremamente dannifico. Come fa una bustina di antinfiammatorio a sottrarti all’inferno?”. Perché tu me lo chiami ovvio e salutare il fatto che un aggeggio senza fili che schiacci sull’orecchio ti metta in contatto immediato con l’Australia? E così arriviamo al punto. Usiamo i cellulari, i blackberry, la televisione digitale, ci muoviamo in automobile, in aereo, usiamo lavastoviglie, lavatrice, phon e microonde. Perché sentiamo questo richiamo irresistibile alla presunta “naturalità” quando non c’è granché di naturale intorno a noi e, in sostanza, non sappiamo neanche cosa sia e comporti? Io continuo a sfogliare i cataloghi degli agriturismi come se a ogni pagina ci fosse una promessa di felicità. Poi il mio compagno mi ricorda che nell’ultima vacanza immersa nella campagna siciliana non ho chiuso occhio l’intera prima notte perché avevamo avvistato un paio di gechi strisciare sui muri e sono saltata in aria quando sul bucato steso ho sorpreso insetti che non so classificare. È davvero della natura che sentiamo il richiamo? O forse di quella natura mediatica che gli spot ci vendono così bene? Nei ricordi di noi nati a partire dagli anni settanta la casa di campagna dei nonni non assume in modo inquietante le fattezze del Mulino bianco? E il nonno stesso, a pensarci bene, aveva quella barba bianca e quel fisico possente? E perché, in queste giornate sfocate dal tempo trascorso, invece di giocare con noi ci propina sempre il minestrone della Valle degli Orti?

Quello che so è che ho quasi terminato la tessera punti dell’erboristeria e tra poco potrò scegliere il mio regalo tra una comoda borsa per la spesa in canapa 100%, un esame iridologico e un bibitone all’aloe che mi farà passare per sempre la gastrite. A meno che qualche intralcio sul lavoro non me la faccia tornare…

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