mercoledì 30 giugno 2010

Interrogatorio 2

"Era irresistibile perché non era corrotta.

C’è gente che sogna di cambiare la propria vita giocando al lotto, capisce da quanta volgarità siamo circondati? Non sono volgari perché non hanno idea di come si apparecchi una tavola o quando non si mette l’abito lungo.
Sono volgari perché perfino i loro sogni sono volgari. Le è mai capitato di incontrarli in una tabaccheria? Si ammassano al bancone, si spintonano per avere un grattaevinci o il gettone da inserire nella macchinetta del videopoker.

Io sono cresciuto con l’idea che i privilegi sono nelle mani salde di pochi e che chi non li ha deve strapparglieli, anche a costo della vita.
Mi è accaduto di nascere tra i primi ma ho scelto di impegnarmi a fianco dei secondi. Non è stato un lavoro pulito, non è sufficiente schierarsi dalla parte di quello che ritieni essere il bene per uscirne pulito. Dopo una vita trascorsa a fare politica, a cercare di evitare il fango e a dover constatare ogni sera tornando a casa quanta parte dei miei vestiti e della mia anima il fango avesse contro la mia volontà conquistato, cercavo quello che ho trovato in lei, Eliana.

L’ho sposata perché mi avrebbe salvato dalla volgarità, se capisce quello che voglio dire, commissario. Qualunque cosa fosse successa, e nella vita ne possono succedere di cose, lei mi avrebbe salvato da quello che mi fa orrore. Questo non sarebbe cambiato, questo non poteva cambiare perché le apparteneva e perdiamo solo le cose che non sono nostre."

(sto lavorando a un nuovo romanzo, ogni tanto qualche paragrafo evade per finire qui...)

lunedì 28 giugno 2010

E adesso la pubblicità

Anni fa, quando ero una studentessa universitaria, per l’esame di Tecniche del linguaggio pubblicitario, preparai una tesina sulla figura femminile nella pubblicità.
Non peccai di originalità, vero, ma oggi farei lo stesso, solo che la mia tesina avrebbe il doppio delle pagine.

Credevamo di aver visto di tutto e c’è sempre altro che ti può stupire.

In questi giorni mi è capitato di vedere locandine di una promozione Tim in cui Belen Rodriguez mostra il cellulare in tutte le posizioni possibili (in mezzo alle tette, sopra il culo, in mezzo alle cosce e scusate la volgarità ma non è che le foto siano da meno) suggerendo usi alternativi dell’oggetto in questione che in parte rasserenano chi si chiedeva perché si dovesse spendere così tanto solo per telefonare.

La chicca è il claim “Io sto con Tim e tu?”.
No, cocca tu stai con Fabrizio Corona pluri-indagato di cui si è già parlato in un post, io sto con chi mi pare ma, detto da donna a donna, anzi da donna a dea, siamo nel 2010 e le donne per valere, oltre a usare shampi Loreal come insegnano le tue colleghe, non devono stare con qualcuno. Devono fare. Realizzare sogni, creare lavori e relazioni di valore. Fare non stare. Essere non avere, come diceva Erich Fromm.

Tornando agli anni universitari, la mia professoressa di antropologia, Gioia Di Cristofaro Longo, curò una pubblicazione intitolata “La donna dei media” nata da una sinergia tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità.

Quando sfogliai quelle pagine mi sentii sollevata: non ero la sola, c’erano altre persone che si indignavano e che mettevano la loro competenza tecnica di sociologi e antropologi al servizio di ricerche che avrebbero migliorato la vita di noi tutti.

Ed è avvilente accorgersi oggi che non c’è stato alcun ravvedimento da parte dei pubblicitari.

Vorrei, per esigenza di verità, chiarire la mia idea di corpo: non penso che ci si debba vergognare di averne uno, penso che lo si possa esporre dando piacere a se stessi e agli altri, penso che però si debba essere onesti.

La pornografia è una cosa, tentare di vendere silicone sigillante è un’altra.

Così come mi indignerei se durante un film hard cercassero di vendermi il divano, mi indigno perché trovo disonesto svilire il corpo per esigenze puramente commerciali.

Ho sempre pensato che la bellezza sia un valore perché ci fa vivere un po’ dell’assoluto a cui sempre tendiamo senza poterlo raggiungere. La bellezza della pubblicità invece è uno schema, come sostiene la Mereu. È una trappola per farti sentire inadeguato a tal punto che apri il portafoglio e compri qualsiasi cosa possa metterti un po’ più a tuo agio.

E tutto questo è profondamente disonesto.

venerdì 25 giugno 2010

Su e giù dal trono



Confesso. Sono una tifosa. Della Roma e della Nazionale. Sono una di quei tanti italiani a cui il patriottismo si risveglia quando vede un campo di calcio più che in altri momenti (e scusate ma abbiamo le nostre buone ragioni).

Rispetto al pomeriggio di ieri afoso e troppo silenzioso, mai rotto da grida e boati di vicini o passanti, ho la mia da dire.
Penso (anche qui come tanti) che Lippi abbia sbagliato le convocazioni, la formazione nelle tre partite ma ancor prima della disfatta mi chiedevo perché fosse tornato a guidare la nazionale dopo il trionfo del 2006.

Sarò vile o coraggiosa, stabilitelo voi, ma io salto dai treni in corsa. Quando sfrecciano sulle rotaie, l’aria ti pettina i capelli e sembra che non debbano fermarsi mai. A me i capolinea contagiano tristezza.

Comunque, ognuno fa le sue scelte.

E ognuno ha da dire la sua. “L’Italia: cinquanta milioni di ct” disse qualcuno. Forse un po’ meno, perché non a tutte le donne il calcio piace.
Arriviamo al punto: Lippi ha sbagliato, ognuno di noi appassionati ha in mente la formazione con la quale, pur non replicando il titolo, avremmo saputo andare meglio e un po’ più avanti.
Il punto è che Lippi è un uomo, quattro anni fa ha azzeccato molte scelte, oggi quasi nessuna. Ma rimane un uomo. Invece per giornalisti e opinione pubblica quattro anni fa era un dio, oggi uno stronzo maledetto.
(Stamattina ho preso un caffè al bar e il verdetto era unanime.)

Abbiamo bisogno di dei e capri espiatori. Il buon Pennac l’aveva capito da tempo, l’altrettanto (se non di più) buon Malaussène si era prestato.
Non trovandone di soddisfacenti, dei e capri espiatori li peschiamo dove ci capita. O dove sappiamo guardare. Molto spesso dalla tv.

mercoledì 23 giugno 2010

"Le parole sono importanti!" (N. Moretti)


Qualcuno trova divertente la mia ossessione per le parole. Anch’io sorrido quando me la si fa notare, per il resto del tempo mi diverto molto aprendo il dizionario e riflettendo sui vocaboli che uso di più, che uso meno, che usano molto gli altri, che leggo nelle pubblicità, nei libri, nei quotidiani…insomma in testa è tutto un frullare.

Ecco, in questo post dichiaro aperta la mia battaglia contro due parole: peccato e colpa.

Sulla prima credo di aver avuto la meglio, l’ho quasi completamente abolita. Sopravvive solo in qualche rara esclamazione (“Che peccato!”) ma non mi crea alcun problema affermare che nella vita ho commesso sbagli su cui riflettere e non peccati da confessare a qualcuno.

La seconda mi dà più filo da torcere. Mi esce dalla bocca mio malgrado.

Ieri, ad esempio, ero nel parco che spingevo il mio puffo sull’altalena. A un tratto una bimba più piccola ha iniziato a camminare verso di noi e, con un’accelerata imprevedibile che riesce solo a quell’età, in pochi istanti era esattamente sulla traiettoria descritta dall’altalena di mio figlio. Lui, di spalle, guardava il cielo dal punto più alto raggiunto, lei stava per essere colpita con esattezza scientifica, come un birillo da una palla lanciata con sapienza su una pista oliata al punto giusto.

Non potendo agire su di lui, ho abbracciato lei e l’ho portata fuori dalla traiettoria. Quando ho allentato la presa, lei ha ricominciato a camminare come non fosse successo niente.

A me, che avevo il cuore in gola, è venuto spontaneo comunicare a mio figlio che mi sarei riposata un attimo perché mi ero spaventata da morire: Sophie aveva appena rischiato di brutto. Al che lui mi ha detto “Scusa, mamma” e io “Non è colpa tua”. E lui “E’ colpa della bimba?”.

È stato allora che la parola colpa mi è apparsa più stupida che mai.
Era colpa di Sophie che semplicemente sperimentava il movimento? Era colpa mia che avevo sottovalutato le accelerate di quell’età? Era colpa della tata rumena che, distratta dall’aver trovato in una nonna lì presente una connazionale, scambiava due chiacchiere in lingua madre e serenità?

Non voglio più usare la parola colpa, voglio sostituirla con causa.

Penso che restituisca meglio l’accadere delle cose. Credo parli più esattamente del modo in cui si intrecciano gli eventi. Toglie morbosità, restituisce chiarezza.

lunedì 21 giugno 2010

Così, senza salutare

Qualcuno di voi ricorderà il macellaio che tanta parte ebbe nelle più recenti decisioni familiari.

Ebbene, credo sia partito per il viaggio di nozze al posto nostro.
Le serrande sono abbassate da più di tre settimane, un cartello dice: “La macelleria Milano è chiusa per rinnovo locali. Si ringraziano i gentili clienti.”
Mi riferiscono che non si è mai visto operaio né sentito rumore di trapano o altro.
E poi di cosa ringraziare i gentili clienti se non del fatto di avere contribuito a finanziare il viaggio con i loro acquisti?
Si vocifera addirittura, causa la lunga assenza, che si sia trasferito per sempre.

Comunque sono contenta. Perché il macellaio è una brava persona. Ha capito che quando compro agnello, pollo o altro animale deve comportarsi come se non avessero mai avuto una testa. (Lo ammetto, in questo e solo in questo caso non voglio sapere, non voglio vedere.)

Per il Natale di due anni fa mi ha regalato (in quanto gentile cliente) un servizio di tazzine da caffè che è il mio preferito e che gira ancora per casa nonostante alcune siano sbreccate qua e là.

E poi gli manca tanto la sua Calabria. Lui dice che l’importante è il lavoro, che suo figlio lavora in un importante studio legale in corso Matteotti, ecc. ecc. ma negli occhi gli vedi la nostalgia di un’altra latitudine e, se guardi con attenzione, mentre abbassa lo sguardo sull’affettatrice c’è una lacrima che per poco non lo tradisce.

Sono contenta per lei e per sua moglie, vi auguro di riposarvi mentre guardate il vostro mare anche se mi ha complicato un po’ la vita: vai a spiegare a un altro macellaio che, al mio ingresso, nessuna testa deve occhieggiare dal bancone…

domenica 20 giugno 2010

Anche voi

Avete mai sperato, mettendo a posto la casa, che si mettesse a posto qualcosa dentro di voi?

sabato 19 giugno 2010

La strada e il fuoco


- Noi non mangiamo gli altri, vero papà?
- No, non li mangiamo.
- Neanche se moriremo di fame?
- Noi stiamo già morendo di fame.
  (“The road”)
Ho visto “The road”, il film di John Hillcoat tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy.

Confesso la mia passione per i film “apocalittici” - di un certo spessore, escludo quindi La guerra dei Mondi, 2012, ecc. – perché come i migliori film di genere veicolano un grande contenuto attraverso una grande metafora.
 “Il tempo dei lupi”, ad esempio, è un film straordinario di Haneke (quello che io preferisco della sua filmografia).

“La strada” è un film che dice tanto mostrando poco.
Poco rispetto a quello che oggi abbiamo tutt’intorno, poco rispetto a quello di cui oggi sono fatte le nostre città.

Siamo alla fine del mondo. Una serie di calamità naturali hanno portato all’estinzione di tutte le specie animali, la scarsità di cibo, una animalesca lotta per la sopravvivenza che non esclude il cannibalismo.

Un padre e un figlio viaggiano per raggiungere la costa, qualcosa li fa ancora andare, li fa ancora sperare perché loro “portano il fuoco”. Loro sono i buoni e non mangiano gli altri, mai.

Fuor di metafora, i tempi sono duri.
Quando è tutto così poco "umano", ci vuole il fuoco dentro per non mangiare gli altri in qualunque senso lo si voglia intendere.
È difficile non fare le scarpe, difficile non approfittare di una debolezza. Dilaniante scegliere tra condividere quel poco con un vecchio incontrato per strada o andarsene rapidamente, diffidando, come l’esperienza ha insegnato.

Ma noi siamo i buoni e dal mare, anche se non è più azzurro, sapremo ripartire.

mercoledì 16 giugno 2010

Segni di riconoscimento

- Gobba? Quale gobba?
(da "Frankestein junior")
Mi piacciono le persone che hanno un livido dentro. Una mancanza, un lutto grande o piccolo, un limite con cui fare i conti, qualcosa che non è riuscito e che stona con la vita ideale.

Gli indimenticabili hanno tutti qualcosa che non va.
Nemo ha una pinna molto più piccola dell’altra (“la pinna fortunata” la chiama suo padre), Julie de Corrençon in Malaussène ha su tutto il corpo i segni delle sigarette che le hanno spento addosso quando ha ficcanasato troppo, Oskar Matzerath all’età di tre anni ha smesso di crescere, Hans Schnier soffre di emicrania e malinconia.

Mi piacciono le persone che non si fanno fermare, che usano i lividi per ricordarsi che se ce l’hanno fatta fino ad allora, ce la faranno anche stavolta.

venerdì 11 giugno 2010

Salviamo chi si fida

Non mi ricordo quale pedagogo (probabile fosse la Montessori) scrisse che un bambino non cresce solo con le cure fisiche, il cibo, le vitamine, ecc. ma anche con la fiducia.

Quando l’ho letto, ho trovato questo pensiero profondamente vero.
Credo che un bambino diventi grande perché gli altri sanno (anche per lui che non ha ancora esperienza del mondo) che lo diventerà.

E penso che fiducia sia una delle più belle parole che abbiamo a disposizione.
“Fiducia” ha la stessa radice di “Fede” ed entrambe le parole stanno ad esprimere una disposizione a credere nelle qualità di qualcuno o nella verità di qualcosa anche in assenza di certezze logiche.

Tu non sei ancora grande, ma io credo che lo diventerai.
Non sei ancora uno scienziato, un medico, un ballerino, un uomo o una donna di valore ma ho fiducia che lo diventerai, che realizzerai i tuoi sogni.
E la mia fiducia è parte del carburante che ti servirà per arrivare.

Il contrario di “Fiducia” credo sia ritenuto all’unanimità il termine “Sfiducia” che però indica semplicemente una mancanza di fiducia.
Mentre per me l’esatto contrario è “Diffidenza” ossia una “negazione della fiducia” preventiva.
Laddove dando fiducia si tenta un salto, diffidando si rimane sostanzialmente chiusi a casa propria.
”Là fuori è un mondo di squali” è uno di quei moniti che spesso i grandi rivolgono ai piccoli, condannandoli a restare piccoli e paurosi.

Ancora più grande è la responsabilità di chi tradisce la fiducia che qualcuno ha riposto in lui perché non solo uccide una parte della persona che ha tentato il salto, ma anche perché toglie a chi deve ancora incontrarla la sua occasione: quella di nutrirsi della fiducia che quella persona avrebbe accordato.

martedì 8 giugno 2010

Un altro tipo di rete

Mi sono fatta proprio un bel regalo con i soldi ricevuti per il compleanno. Avevo adocchiato un paio di boots estivi e un bel vestitino da abbinare e invece all'ultimo ho scartato di lato.
Mi sono iscritta a un seminario di Costellazioni familiari con Giuliana Strauss.
E' stata un'esperienza incredibile e da due giorni sono combattuta tra la voglia di raccontare e quella di stare in silenzio a sentire ancora tutto quello che c'è stato nell'aria durante il weekend.

Sono stati due giorni intensi ad alto tasso di concentrazione, dispendio calorico (mai mangiato tanti dolci come in quelle pause!) e di grande scoperta.
C'è assolutamente altro oltre quello che vediamo e c'è un modo di stare ad ascoltare e farsi guidare verso la soluzione.
C'è una persona fantastica come "zia Giuli" e persone altrettanto fantastiche e coraggiose con cui condividere sorrisi e lacrime.

C'è una rete che non è il temibile Internet con tutte le sue insidie e che non è quella dei pesci il cui scopo è trasportarli dove non vogliono.
C'è un posto in cui essere connesso vuol dire esserlo davvero con ogni parte di te.
Grazie a tutti.

sabato 5 giugno 2010

L'intuizione di Andy

I più affezionati ricorderanno che in uno dei miei primi post (aprile 2010) mi chiedevo cosa fosse Facebook, cosa fosse realmente, al di là dell'etichetta "social network" che dice ben poco.

Ebbene qualche tempo dopo La Repubblica ha dedicato tre pagine a rispondere al mio interrogativo. Della serie "basta chiedere e poi aspettare".
Nel quotidiano datato 21 maggio Vittorio Zucconi scrive di Facebook come del "più grande laboratorio del mondo" in cui "tutti sono insieme partecipanti e porcellini d'India" ossia cavie sulle quali sperimentare strategie di marketing sempre più raffinate.
"C'è chi si chiede se siamo di fronte a un nuovo Grande Fratello", recita l'occhiello.

Mi convince. Ma la teoria del complotto (di cui sono convinta portavoce e che prima o poi illustrerò nel dettaglio) non esaurisce il discorso, a mio parere.
Vale la pena andare più in fondo e oltre alle multinazionali chiamare in causa noi stessi e Andy Wharol.

Se Facebook è diventato il più grande depositario al mondo di immagini fotografiche è perché nessuno, neanche i più schivi, sanno rinunciare alla tentazione di mettersi al centro dell'attenzione, di mostrarsi.
IL nuovo Grande fratello (quello televisivo ma anche tutte le sue forme derivate e ancora più subdole) rispetto al Grande Fratello di orwelliana memoria ha dalla sua che le vittime si espongono volontariamente e con contentezza.
Il famoso quarto d'ora di notorietà si è ridotto ai dieci secondi che occorrono per un click ma meglio dieci secondi di niente.
E meglio 300 amici virtuali di un amico in carne e ossa che non sorride mai come nella foto del profilo e che qualche volta ha bisogno di noi.
O sbaglio?

giovedì 3 giugno 2010

Guarda che mare - II parte

Mio figlio ha un discreto guardaroba estivo per motivi abbastanza ovvi e cioè che sporca tre magliette al giorno.

La maggior parte di queste t-shirt riporta scritte e slogan abbastanza curiosi tipo “University of Columbia” e sotto il disegno di un’àncora. Cosa c’entri l’àncora con il resto non si sa bene e ancor meno si sa perché un bambino che non ha ancora l’età per la scuola materna dovrebbe interessarsi dell’Università.

Sono piccoli nonsense a cui si va incontro quando non si vestono i propri figli con capi Armani o Calvin Klein kids (non vedo come potrei ma soprattutto perché dovrei).

Altre magliette riportano simpatiche rime come

The sun is yellow
The sky is blue
I like marshmallow
And I like you


Robe così. Invece qualche giorno fa la nonna è spuntata con un nuovo acquisto.
Guardate cosa mi ricorda la stampa sulla pancia del mio puffo:


martedì 1 giugno 2010

Permettete una domanda (anzi sei)?

Tempo fa la Scuola Holden, per un suo progetto editoriale, chiese a me e ad altri di rispondere a un’intervista in cui, tra le altre, comparivano le domande che scrivo qui sotto. Riporto anche le risposte che ho dato e che sarebbero sostanzialmente quelle che darei oggi.

Mi piacerebbe conoscere le vostre!

Con quale personaggio della storia della letteratura o del cinema partiresti volentieri per un viaggio?
Con Benjamin Malaussène e la sua famiglia perché potremmo anche arrivare solo fino alla stazione e sarebbe già uno dei più bei viaggi mai fatti.

Con quale ti fidanzeresti?
Con Lebowski e se mi chiedete il perché, non lo capirete mai.

Con quale litigheresti a sangue?
Con il Bianconiglio perché è un nevrotico.

Quale vorresti che diventasse una persona reale?
Hans Schnier, il protagonista di “Opinioni di un clown”, per poterlo abbracciare.

Quale non vorresti per niente al mondo che diventasse una persona reale?
Mildred, la moglie di Montag in Fahrenheit 451, perché riassume tutte le cose che odio.

Quale personaggio ti ha fatto pensare che l’autore l’abbia creato ispirandosi a te?
Joel, il protagonista di “Eternal sunshine of the spotless mind”, perché Michel Gondry mi ha incontrato alla Clinica Lacuna.