lunedì 30 agosto 2010

Perché scriviamo


"Scrivo perché ho paura che si perda il ricordo di me. O forse solo per essere protetto da una storia (...)"
(F. De André)

Si scrive per i motivi più vari. Ad esempio, per evitare che certe cose ti rimangano dentro a imputridire. Se poi trovi qualcuno che quelle cose le riconosce come sue tanto da dedicare a un'idea -che a quel punto diventa di tutti- le sue energie e il suo talento, l'esperienza si fa intima, come essersi conosciuti da un'altra parte, un'altra volta.
A me è successo. Ecco alcune delle nostre creature collettive.

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Zeno

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May

Grazie a: Andrea (regia), Daniele (fotografia), Fede (montaggio), Airam (musiche), Vanessa (trucco&parrucco), gli attori e tutti i collaboratori.
E, poiché il set non è sempre rose e sorrisi, a chi ha saputo andare oltre...

sabato 28 agosto 2010

Nulla di nuovo sul fronte occidentale

Noi occidentali siamo troppo intelligenti. Il progresso è dalla nostra parte, ha dimostrato la nostra superiorità. Siamo primi in tutto, anche nel consumo di psicofarmaci.

Noi occidentali, cresciuti a latte e logica (A=A e A non B), viviamo per avere ragione.
La logica di divisione, dell’io invece di te anzi dell’io prima di te.
La sicurezza ostentata (io sono meglio) per coprire una grande insicurezza (io sono qualcosa?).
L’incapacità di uno sguardo olistico.
Quando frequentavo corsi di filosofia all’università di Torino, successe che uno studente alzò la mano e al professore che spiegava Kant offrì la sua constatazione:
“Quanto stiamo dicendo è valido per la nostra idea di mondo perché il pensiero orientale ad esempio percorre altri sentieri…”
Al che il docente rispose:
“Ma io ritengo il pensiero filosofico occidentale superiore” e continuò con Kant.

Quello che mi chiedo è: e se a un tratto fossimo colti tutti da sacro terrore per aver perso molte occasioni? Se non uno o due individui con il cervello troppo in moto ma tutta la società tutta si paralizzasse al pensiero che il nostro pensiero ci abbia fregato?
Mi sono capitate (non per caso, io non credo al caso) tra le mani queste righe di Jakob Steiner:

“Noi concepiamo sempre l’uno partendo dall’altro. Nella nostra concezione non siamo altro che dialettici. Ma nella dialettica – anche in quella di Hegel – ogni antitesi distrugge almeno in parte la tesi perché svela la sua inadeguatezza. Nel pensiero strutturato dialetticamente c’è poi il pericolo che ogni cosa venga messa in dubbio fin dall’inizio, perché si pensa, in modo puramente schematico, che un’altra cosa metterà a nudo la sua relatività. (…) Per vedere chiaramente l’uno, dipendiamo sempre dal fatto di poterlo distinguere dall’altro.”

E mi sono ricordata del Saggio sull’onestà intellettuale contenuto in City (libro a cui devo l’aver voluto frequentare la Scuola Holden) e che inizia così:

“1. Gli uomini hanno idee.
2.Gli uomini esprimono idee.
3. Gli uomini esprimono idee che non sono loro.
4. Le idee, una volta espresse e dunque sottoposte alla pressione di un pubblico, diventano oggetti artificiali privi di un reale rapporto con la loro origine. Gli uomini le affilano con tale ingegno da renderle micidiali. Col tempo scoprono di poterle usare come armi. Non ci pensano su un attimo. E sparano.”

sabato 21 agosto 2010

C come Cosa chiami Casa?

"Viaggiai dappertutto, mai verso casa"
(Chaim Potok)

Pranzo di agosto in Sicilia, aria di montagna e vista sul mare. E' la casa per le vacanze di persone a cui voglio davvero bene, una delle tante case a cui penso spesso.
E con queste persone si parla dei primi film non proprio da bambini visti quando eravamo bambini.
Mio marito ci batte tutti con un King kong visto a tre anni e mezzo, secondo classificato nostro figlio con Alice in wonderland a due anni e tre mesi (cosa che i nonni ancora non mi perdonano).
Io, d'accordo avevo sei anni, ma non posso dimenticare "Navigator" e come abbia animato i miei incubi per alcuni anni. Replicando una scena del film, sognavo spesso di tornare correndo verso casa mia, suonare il campanello e non trovare nessuno di familiare ad aprirmi.
Quella scena si è stampata talmente tanto nel mio inconscio che quando, ormai 25enne e residente a Torino, torno senza telefonate ad annunciarmi per fare una sorpresa ai miei, sulla salita di casa mi assale un dubbio:
"E se non trovo nessuno? E se mi aprono altre persone?".

Casa. é una. In provincia di Roma. Dove sono nata, cresciuta. Dove ho studiato, aperto i regali di Natale, dato accidentalmente fuoco ai miei capelli, scambiato confessioni notturne con mia sorella, pianto, portato a cena la mia migliore amica, il mio primo ragazzo.
Case. Sono quattro, quelle che ho cambiato da quando sono a Torino. Dove ho cucinato per la prima volta, mi sono armata contro la domenica mattina, smaltito la mononucleosi, scritto tutta la notte, baciato quello che è diventato mio marito, recitato in cortometraggi, passato le prime notti in bianco da mamma, sono rimasta chiusa fuori senza chiavi.
Case. Sono tante, quelle abitate da persone che mi fanno sentire a casa, in cui ho dormito o solo cenato, quelle che immagino vissute, in disordine, animate anche se non da me.
Troppe per non sentire sempre una sottile nostalgia.
E poi c'è D. che ci fa sentire tutti a casa e che si sente a casa solo negli ostelli o nelle cuccette sui treni di notte.

giovedì 19 agosto 2010

Chi trova un amico, forse trova una casa

Ultimamente in famiglia parliamo di comprare una casa.
Pungolati dagli amici con maggior senso pratico (non che ce ne voglia molto per superarci), parliamo di comprare una casa perché pare che questo sia il momento buono.
Un amico, quello che conosco da più tempo o meglio che mi conosce da più tempo perché io ero nella pancia della mamma, mi ha sconsigliato di chiedere alla padrona dell'attuale casa in affitto quanto ci costerebbe rendere nostre le pareti che già viviamo.
Pare che l'esserci affezionati a tali pareti ci costerebbe più caro, avremmo meno potere contrattuale.

Io tengo molto a questo amico perché secondo me siamo diversi ma le nostre anime si toccano in un punto nel quale riusciamo a ritrovarci e volerci bene. e ben consigliarci (questo lo fa più che altro lui perché ha più anni e più cervello).
V. mi ha sgridato. Lo fa spesso ma con così tanto affetto che non riesco a prendermela. Dice che le case si vendono e si comprano. Che qui ci vuole la ragione e che il cuore serve per altre cose.

E quindi in questi giorni mi sto esercitando a mettere il cuore dove serve e sostanzialmente ad arginarlo per non farlo straripare in tutte le altre parti dove per sua natura andrebbe. Risparmierò energia. E soldi, a quanto pare.
Sulla parola "casa" e su quanto smuova in me (non per nulla ci ho scritto un romanzo) però tornerò a breve...

ps. ovviamente V. legge questo blog, ma mi loda e rimprovera in privato.

mercoledì 18 agosto 2010

Un'estate da paura - II parte

Film n. 2
Splice

Avendo ormai sdoganato il genere horror perché ho finalmente capito che è solo una forma estrema di catarsi, sono andata fischiettando a vedere il secondo fanta-horror della stagione: Splice.

L'ho trovato un gran film, finale a parte.

Un film ibrido come la creatura protagonista - metà d’autore e metà di genere - che dal primo istante ti butta dentro la narrazione (e in questo geniale, esattamente come veniamo scaraventati nella vita nascendo) e non ti molla.

Come nelle sceneggiature più riuscite (come spesso nella realtà), ogni personaggio ha la sua parte di ragione o meglio di verità da esplorare e sperimentare.

Clive (Adrien Brody) ed Elsa (Sarah Polley) sono due genetisti stimati e ambiziosi. La loro ricerca ha attirato gli interessi della case farmaceutiche perché dagli ibridi animali di loro ideazione si ricava una proteina utile a combattere le malattie genetiche. Ma quando la committenza dà alla loro ricerca uno stop, i due non accettano i limiti imposti e li oltrepassano dando vita a una creatura dal DNA per metà umano e metà animale: Dren.

Dren, incontenibile, istintiva per forza di cose, farà deragliare il corso della vita di chi pretendeva di avere il controllo di tutto.

Oltre al tema della bioetica, il film sviluppa in modo coerente e parallelo il tema creatore/creatura in senso lato.
L’ambivalenza dell’amore di Elsa per Dren e il suo accanirsi a fare carriera quando questo tocca il suo punto più basso (che suona familiare in tutte le mamme non ipocrite), il ritorno del fantasma dei propri genitori e dei loro errori, le tensioni edipiche, la seduzione che una creatura nuova esercita sul mondo degli adulti, l’irreversibilità di alcune scelte e la responsabilità conseguente.

Il finale, in cui il regista Vincenzo Natali vuole recuperare i cliché di genere, appare un po’ frettoloso e deludente rispetto alla quantità e profondità di questioni sollevate.

Da vedere.

lunedì 16 agosto 2010

Un'estate da paura



Prendete due cinefili, portateli 15 giorni in mezzo alla natura che pure amano. Verso il 10° giorno il maschio della coppia inizia a vagheggiare di sale buie, trailer, aria condizionata troppo alta. La femmina, in cui la natura esercita maggior richiamo, lo rimprovera e gli passa il solare. Ma anche in lei si fa strada un certo desiderio di immagini in movimento formato extra, volume altissimo come a casa non puoi mai tenerlo. L’aria condizionata le manca meno a dire il vero, ma visto che fa parte del pacchetto, prenderebbe anche quella.

Il 15° giorno la malinconia del rientro bilancia la felicità di tornare un posto in cui ci sono molte sale buie e, dato che è estate, quasi "personali".

La programmazione potrebbe essere migliore ma, vista l’astinenza, non stiamo a fare i difficili.

Comunque qualcosa di buono salta fuori.

Film n. 1

Don't fear the end of the world,
fear what happens next.

Pandorum, che scopro essere un horror quando sono già seduta in sala (il cinefilo di cui sopra lo ha spacciato per pura fantascienza finché non era troppo tardi), merita un bel sette.

Il titolo, a parte i richiami natalizi che evoca in noi italiani golosi, cerca maldestramente di mascherare un plagio (Pandora è il pianeta abitato dagli Avatar). E un po’ traccia il destino della pellicola che è molto interessante ma non arriva a diventare un grande film. Peccato perché Ben Foster è convincente (e professionale: si vocifera che abbia preteso insetti vivi per la scena in cui la biologa lo sfama) e davvero meritevole è il montaggio alternato in cui lo spettatore trova, emozionandosi, il bandolo della matassa.

Con chi l’ha già visto, mi piacerebbe confrontarmi su alcuni spunti che mi aspettavo trovassero sviluppo prima del finale e che non scrivo qui per non rovinare la visione agli altri.

Posso però dire che si parla di ipersonno, perdita della memoria e conseguente disorientamento, di quei terrificanti attimi in cui la tua mente ti tradisce e non sai più a chi puoi credere (consigliato quindi a tutti i fan di Memento, sconsigliato ai claustrofobici).

Notevole il ritorno del tema già trattato in “The road” (vedi post 19 giugno) ovvero il cannibalismo come soluzione estrema alla scarsità delle risorse.

E se compito dell’arte è anche quello di portare sulla scena temi che il resto della società preferisce ignorare, speriamo che qualcuno sia in ascolto.

(to be continued)

mercoledì 11 agosto 2010

A casa

Tornati dalle vacanze che ci hanno visto girare diverse regioni, ho deciso di trascrivere cosa ho imparato:

spesso le persone per cui i tuoi figli hanno un debole sono le stesse per cui lo hai tu;

le multe finiscono nella cassetta della posta preferibilmente d’estate nella speranza che, al ritorno ahimé tardivo, tu le debba pagare maggiorate;

la Sicilia si conferma la regione in cui in meno tempo acquisti più peso;

è cosa ottima infilare all’ultimo nei bagagli il mattone che vorresti finire di leggere perché magari riesci;

con gli amici veri l'espressione letteraria "tutto cambia perché tutto rimanga com'è" ha un significato positivo (in particolare trasformarsi da single spericolati in genitori premurosi contemporaneamente aiuta a capirsi e volersi bene);

mai comprare succhi di frutta o altro nei frigo self-service dei bar perché possono essere manomessi;

da cui i punti seguenti

l’adrenalina da spavento ti fa correre con in braccio 16 chili di bambino come fossero una piuma

e

al pronto soccorso pediatrico di Savona sono tutti molto gentili e preparati;

la nona meraviglia del mondo è la polenta concia delle valli piemontesi dopo 10 km di passeggiata;

la luce del tramonto in Sicilia è qualcosa da strapparsi la pelle;

il mio accento camaleontico di romana emigrata in Piemonte e sposata con siciliano mi rende inafferrabile quanto a origini (con alta ricorrenza statistica di presunzione di toscanità);

rimane inspiegato il fatto per cui c’è un limite di peso nei bagagli e poi al dutyfree si possono acquistare e far salire in aereo teste di colossi in ceramica di Caltagirone;

non mollare con una costante pratica buddista anche in vacanza comporta benefici inimmaginabili.


sono di nuovo qui, sotto il tavolo.