martedì 28 settembre 2010

Tutti a scuola

Ieri mattina ho accompagnato D. alla scuola materna, seconda settimana di inserimento.

Abbiamo portato i biscotti e non abbiamo portato l’asciugamanino. La settimana dei biscotti è finita e l’asciugamanino serviva.
Non indossavamo il grembiule e in classe ci siamo accorti che tutti i bambini lo avevano.
Sono l’unica mamma sempre in jeans (in effetti la t-shirt nera con su scritto “Clockwork orange”, se alle sette di mattina fossi più in me, me la sarei potuta risparmiare) e A. l’unico papà con capigliatura non proprio ordinaria.
Dedico questo post a quanti non sono stati piegati da numerosi cicli scolastici (compreso il master).

A quanti non hanno mai capito perché la scuola debba iniziare alle otto quando studi scientifici (e anni di guida mattutina) dimostrano che il cervello entra a pieno regime almeno un paio di ore dopo.

A quanti portano sempre qualcosa che non serviva (siano i biscotti, la riga da un metro e mezzo per educazione tecnica o IL vocabolario di latino) e non portano qualcosa che serviva (il grembiule, la calcolatrice o il diario).

A quanti si sono presentati almeno una volta a un esame senza aver studiato tutto (confesso pubblicamente di non aver neanche sfogliato l’ultimo capitolo intitolato “Le regioni” del Temistocle Martines per l’esame di Istituzioni di Diritto Pubblico).

A quanti per paura di un esame hanno studiato almeno una volta perfino le note (io due: Sociolinguistica e Semiotica).

A quanti dopo aver affrontato cicli scolastici di ogni ordine e grado non hanno ancora capito come vestirsi per star bene alle otto di mattina (-5 C) e all’una quando si esce da scuola (24 C circa).

A quanti sono definiti "secchioni" ma stanno solo cercando di distruggere il sistema da dentro.

A quanti, all’atto dell’immatricolazione, sembra di essere precipitati in un racconto di Kafka e disperano di uscirne vivi o immatricolati.

A quanti, quando accompagnano la prole, si ritrovano a chiedersi se devono sedersi al banco o tornare in macchina.


PS. il bello della materna è che le maestre ti vogliono bene e D. ha potuto distribuire ugualmente i suoi biscotti.

venerdì 24 settembre 2010

Da qui


Volevo il momento, non un'esistenza quieta.
(Lev Tolstoj, La felicità familiare)
Da una telefonata che mi viene in mente di fare in tarda serata, apprendo che il nostro amico C. parte di nuovo.
E quando parte C. non sono mai vacanze, formule all inclusive, cene di benvenuto con il comandante.
Quasi sempre si tratta di paesi in guerra o con elezioni turbolente, paesi in cui in presenza della polizia non ti senti proprio al sicuro.

C. lo vediamo e lo sentiamo poco, ma è una persona a cui teniamo molto.
Incredibile come le amicizie strette in certi posti (e la Scuola Holden è uno di questi) non abbiano bisogno di essere alimentate continuamente. Resistono. Tu vivi, fai tutt'altro e loro sono lì.
Strano posto la Scuola Holden, può capitare anche di innamorarsi e fare un bimbo. Inutile dire che gli holdenini -figli di due holdeniani- hanno la stessa probabilità di salute mentale che ha Frances Bean, figlia di Kurt Cobain e Courtney Love.
E C. è in un certo senso il primo amico di D. perché è quello che durante le cene in un dicembre di qualche anno fa spediva in balcone tutti i fumatori (se stesso compreso) perché a tavola c'eravamo io e il mio pancione.

Lo sgomento che ci prende quando C. annuncia una partenza è ovviamente la paura inconfessata di non vederlo più (in Iran ci è mancato veramente poco).
Pensiamo spesso alla mamma di C. che rimane a Napoli a visitare pazienti, fare la spesa, cenare con il resto della famiglia e troppe poche notizie per dormire tranquilla.
Io e A. temiamo che nostro figlio elegga C. a suo mentore e decida di fare la stessa cosa: il reporter senza gli alberghi pagati e il culo parato, diciamo così.

Però ieri mi è capitata tra le mani una vecchia t-shirt di A. 
E chi legge da un po' questo blog sa come, a casa nostra, le t-shirt siano foriere involontarie di messaggi.
Gliel'hanno regalata ex alunni di sceneggiatura e recita così:

Fai apparire ciò che senza di te non potrebbe essere visto.
(R. Bresson)

La leggo, poi la leggo ancora una volta a bassa voce. Solo allora capisco.
E da qui, dalla mia vita così diversa dalla sua, riesco ad augurare sinceramente a C. un buon viaggio e un buon lavoro.
Forse un giorno, se servirà, riuscirò ad augurarlo anche a nostro figlio.

mercoledì 22 settembre 2010

Made in Japan



Il mio amico F., grande appassionato di Giappone, a cui va il merito di avermi introdotto nell'universo di Murakami Haruki, mi ha prestato un fumetto di Katsuhiro Otomo: "Domu" (trad. con "Sogni di bambini")


Dopo averlo finito, leggo nella quarta di copertina che Otomo l'ha realizzato nel 1980 (molto prima di tanto cinema e narrativa in cui si parla di telecinesi e poteri paranormali) e rimango allibita.

Domu ha - meritatamente - ottenuto lo Science Fiction Grand Prix Award, premio mai assegnato prima ad un fumetto.
E' un fumetto per adulti che racconta la disperazione, la violenza e l'anomia con una forza che stenti a credere possibile per le immagini statiche di una pagina stampata.

Mi è capitato recentemente di confrontarmi con amici sulla cosiddetta "questione giapponese": i cartoni made in Japan che guardavamo da bambini erano irresistibili sì, ma anche innegabilmente violenti e non particolarmente educativi.
Quello che abbiamo ignorato per anni è che in Giappone il linguaggio "fumetto" o "cartone animato" può avere target diversi, dall'infanzia all'età adulta passando per le fasce intermedie.
L'ignoranza della dirigenza televisiva italiana che si occupava di programmazione e palinsesti negli anni '80 ha fatto sì che, mentre i genitori ci spedivano alle nove a letto per evitare visioni inadatte, noi avevamo già fatto il pieno di violenza e suggestioni sessuali nel pomeriggio.
Non è da trascurare anche la diversa idea di infanzia che le culture elaborano. Leggevo in "Anime violente":
"A proposito degli scenari postnucleari e della presenza costante dell'elemento distruzione di massa nelle opere nipponiche, va ricordato che il Giappone è l'unico paese ad aver conosciuto l'orrore e le conseguenze di un attacco nucleare sulle proprie città. (...) Non stupisce, quindi, che ai bambini venga insegnato, piuttosto velocemente, che il mondo esterno non è sempre bello, dolce e spensierato."
(da "Con gli occhi a mandorla. Sguardi sul Giappone dei cartoon e dei fumetti", ed. Tunué)

L' interessante adesso è recuperare tutto quello che abbiamo perso o che abbiamo visto senza avere gli strumenti.
E' riflettere su chi erano veramente i violenti.

martedì 21 settembre 2010

Pubblicità progresso


Si aprirà ufficialmente a breve la campagna "Una doccia per ogni mamma".
Il comitato organizzatore provvederà a istituire dei gazebo nelle piazze delle principali città italiane in cui le mamme potranno procedere alle ordinarie operazioni di pulizia (che non si negano neanche ai carcerati e a cui troppo spesso le genitrici devono rinunciare) mentre i loro pargoli saranno intrattenuti da educatori specializzati per l'infanzia.

Le mamme che soffrono di carenza di tempo in bagno si riconoscono da uno o più dei seguenti segnali: capelli a cespuglio (non c'è tempo per il phon o i capelli non vengono lavati affatto), una gamba depilata l'altra no, smalto scrostato sulle unghie delle mani (i piedi vengono coperti per dignità), un orecchio più a sventola: è quello che viene infilato tra le ante del box doccia per captare i segnali acustici provenienti dagli altri ambienti della casa.

A seguire le campagne: "Un libro per ogni mamma" o "Un film per ogni mamma" (una a scelta, non esageriamo) e "Una telefonata a un'amica per ogni mamma".
Bocciata invece l'iniziativa "Un tour di shopping per ogni mamma" perché che indossi a fare il maglione figo nuovo che c'hai lo smalto scrostato?

venerdì 17 settembre 2010

Pugni chiusi e altre tristezze

Qualche sera fa i miei uomini (marito e figlio) sono tornati a casa con un regalino per me: "Orchestraevoce", raccolta di canzoni d'amore d'epoca reinterpretate da Francesco Renga.
Era da un po' che volevo acquistarlo, è stata una sorpresa gradita.

Ci sono uomini la cui voce evoca una sensualità che i muscoli di Beckham se la sognano. Renga è uno di questi, fantastico.

Ascolto il cd mattina e sera, in ogni momento utile.
Mentre cucino la pasta al forno, stiro, passo il mocio, canto a squarciagola
(I vicini non si allarmano, non più, dopo le prove di mio marito con gli attori del suo film horror..)

"Pugni chiusi
non ho più speranze
per me c'è la notte più neeeera"

Canta oggi e canta domani...mi torna in mente Krishnananda e il suo libro "A tu per tu con la paura".

La nostra cultura non favorisce il lavoro interiore. Sarebbe veramente difficile immaginare di andarsene in giro per un supermercato mentre gli altoparlanti diffondono canzoni che esaltano la gioia della ricerca interiore, la ricchezza di sentire il dolore e approfondire la meditazione. E' molto più probabile, invece, ascoltare qualcosa del tipo "Il mio amore mi ha lasciato e sono tanto triste. Ma perché la vita mi tratta sempre così male?"
E giù, a riempire il carrello. Vero.

Poi ho pensato alla mia amica C., gran bella ragazza, intelligente, spiritosa, vulcano di idee, scrittrice folle e a tutte le sue storie d'amore più folli di lei, compresa l'ultima finita per cause sconosciute a tutti (compresi i due interessati). A quegli amori che non hanno ostacoli (Giulietta e Romeo sì che avrebbero da dire), ma che non riescono a concretizzarsi, ci amiamo ma non possiamo stare insieme ma non possiamo stare senza...

"Tu bella e triste non sarai
non si può morire dentro
e restando morireiiiiiiiiiii"

Mi pare così d'aver trovato la radice degli struggimenti amorosi dei miei coetanei e dei più giovani: le canzoni d'amore dei nostri genitori.

mercoledì 15 settembre 2010

Storia di un profeta

 

"Il vero significato di profezia non è sapere che su quella casa cadrà una bomba nel 1982 ma sentire qualcosa che sentirà qualcuno tra cento anni."


Quando vai a vedere un film tratto da o ispirato a uno dei tuoi libri preferiti, rischi grosso.

Rischi di rimanere deluso, di affermare presuntuosamente: “solo io ho capito davvero l’autore (la sua vita, l’opera, ecc.)” o più banalmente: “meglio il libro”.
Per questo sono andata a vedere Urlo di fretta perché in ritardo come sempre ma con grande cautela interiore, diciamo così.
Urlo è un film che non mi ha fatto dormire la notte.

È un film che mette in scena il poema, lo visualizza in animazioni (e qui la purista che è in me ha tremato), lo riporta all’esistenza da cui si è originata. Ecco, è un film che opera una restituzione dell’arte alla vita e lo fa con un forte significato politico valido nel 1957 (anno del processo per oscenità) e valido oggi.

La storia di Allen Ginsberg è, ancora prima che il racconto di un poeta di talento, il racconto di un uomo coraggioso che ha affrontato a testa alta i suoi demoni.

“Mentre scrivevo, immaginavo che Urlo non sarebbe mai stato pubblicato, che mio padre non l’avrebbe mai letto così mi sentivo libero di scrivere.”

E, picchiando sui tasti di una macchina da scrivere, Ginsberg trova il coraggio di abbracciare l’umano, abbracciando se stesso. Finisce in manicomio dove, per uscire, promette ai medici di diventare eterosessuale e poi invece dichiara al mondo la sua diversità. Soffre la sua sofferenza e quella di sua madre Naomi e quella di Carl Solomon perché i reietti abbiano possibilità di redenzione.

Con la loro vita di eccessi e la loro esigenza di onestà, gli scrittori della beat generation portano nell’America piccolo-borghese e benpensante i semi di una rottura che apre la strada a tutti i diversi (in tutti i modi in cui si può essere diversi, insofferenti agli schemi e alle convenzioni). Con il loro errare verso Oriente, rivoluzionano l’ordine spirituale dichiarando la santità e la dignità di ogni forma di vita.

Applausi a James Franco che non interpreta Allen Gingsberg, ma diventa Ginsberg con il suo modo di parlare placido e musicale nelle parole ancora prima che nei versi, l’unico modo possibile per chi sapeva urlare quando ce n’era bisogno e non aveva bisogno di farlo sempre.


martedì 14 settembre 2010

In qualche posto, sulla terra...


Amo i film di Sofia Coppola. Amo e ho visto ripetutamente la "trilogia della solitudine femminile" (Il giardino delle vergini suicide, Lost in traslation, Marie Antoinette) con una predilezione per Lost in traslation.
La Coppola ha una mano unica, un tratto delicato, una poetica delle piccole cose, affreschi che procedono per accumulo e alla fine restituiscono una vita. Emozionano.

"Somewhere" a mio avviso disattende le aspettative.
Nel film ci sono momenti così, delicati, pregni di senso ma nel complesso la rarefazione del narrare viene spinta troppo in là e lo schermo si riempie di scene noiose e lunghe come Cleo che pattina o Johnny che fuma e beve.
Diverse le scene in cui con efficacia si descrive la noia (bella la lunga attesa con la maschera sul viso, magistrale la scena iniziale in cui si dice tutto del personaggio: un uomo che gira a vuoto in un ambiente che dovrebbe essere adrenalinico).
Il tema del padre redento dalla vicinanza della figlia così come il ritratto di uno star system allo sbaraglio e volgare non sono sufficientemente originali. La regista non ci racconta nulla che non sappiamo, al contrario di quanto fa ad esempio in Lost in traslation in cui dallo schermo arriva al pubblico il vissuto di chi quei posti li ha visti e respirati davvero. O ancora in Marie Antoinette in cui, forte della sua grazia femminile, la Coppola suggerisce una possibile storia intima e parallela ai grandi eventi.

Suggestive le musiche e il titolo a ricordare che, anche se difficile da trovarsi, pure ci deve essere un posto dove sentirsi finalmente a casa, come diceva una vecchia canzone.

"Da qualche parte al di là dell'arcobaleno
c'é un paese di cui ho sentito parlare
una volta in una ninna nanna
da qualche parte al di là dell'arcobaleno
i cieli sono blu e i sogni che osi sognare
diventano realtà sul serio"
(Somewhere over the rainbow)

venerdì 10 settembre 2010

I terribili due

Ci siamo. Siamo in piena fase del "no".
Quando si parla dei terribili due (anni), lo si fa con una ragione che tutti i genitori si augurano di non scoprire.
L'anno che va dai due ai tre è una specie di anteprima per mamma e papà di quello che sarà l'adolescenza.
Di positivo c'è che non hanno ancora il motorino, non hanno ancora le chiavi di casa e non sono innamorati. E che hai ancora il tempo per pensare lungamente se farne un altro o meno.

La nostra casa risuona di "no" dalla mattina alla sera. E se la causa del no è l'ordine di ingurgitare il minestrone, te ne fai una ragione.
Se la causa è ogni cosa, dall'uscire al mangiare le patate al forno, capisci che hai poco margine d'azione. Puoi sederti, respirare e aspettare che passi.

L'altroieri pomeriggio, reduce da un rendez-vous con il dentista per una cura più lunga e costosa di quanto mi aspettassi e auspicassi, un po' stanca e un po' impensierita, propongo di uscire per andare al parco giochi.
(la strategia è quella di stare all'aperto il più possibile prima che torni l'era glaciale).
Dopo una sfilza di
"andiamo al parco" "no"
"metti le scarpe" "no"
"lascia il camion" "no"
"prendi la felpa" "no"
"andiamo al parco" "no"
e così via in un loop che avrebbe potuto durare all'infinito
sbotto:
"NON ROMPERE LE BALLE!!! Andiamo"

e dall'altro ieri ogni tanto mio figlio viene da me dicendo "Mamma, voglio rompere le balle!" che, pur ignorando cosa sia, gli sembra una cosa desiderabilissima per il solo fatto che gliel'ho vietata io.
quello che non sa è che lo sta già facendo benissimo.

giovedì 9 settembre 2010

Quando i soldi non possono tutto...



Recuperato un altro film perso al cinema.
"Drag me to hell" di Sam Raimi. Incredibile come ad aprire la mente, entrino cose interessanti. Ho fatto pace con l'horror e si è dischiuso un mondo.

Quest'estate la mia amica A., ricercatrice in Economia, ha gentilmente tentato di spiegarmi con un linguaggio che potessi capire anch'io (mi manca proprio un'area del cervello, quella dedicata alla voce "burocrazia e questioni economiche") cosa è successo nell'economia mondiale in questi anni.
Mi ha parlato delle banche statunitensi e del "trucchetto" (lei non ha usato questa parola ma io lo farò) con cui, sventolando sotto il naso dei proprietari di case una liquidità in prestito pari al valore dell'immobile, sono riuscite a sottrarre le case stesse.
E poi il concedere mutui a soggetti non bancabili, ossia soggetti che mai avrebbero potuto pagarlo interamente, e tutte quelle manovre che ci portano alla situazione attuale.

Eccoci tornati a "Drag me to hell".
Ecco l'interpretazione visionaria -e tradotta nel genere-  di un grande artista.
Prendete lo strapotere del denaro e di strutture che difficilmente hanno una faccia e un nome (poveri funzionari allo sportello!), l'impotenza che ti coglie a non farcela a stare al passo, la reazione  degli oppressi che spesso non conosce misura, prendete la giusta dose di ambizione che serve per farcela, per presentarsi in certi ambienti a testa alta, per riscattarsi da un passato con qualche stento...
prendete gli scrupoli che prima o poi tornano, le paure, la suggestione, l'oscurità dentro e fuori, tutti gli ingredienti dell'umano...
ecco un gran film.

PS. ogni cosa ha il suo piccolo prezzo. Ora temo le mosche più dei ragni e non esco più in balcone di notte...

lunedì 6 settembre 2010

E noi eleggiamo Cota


Ieri a casa di amici in campagna ho conosciuto due bambini speciali.
Che C., il primo dei due, non fosse italiano l'ho capito - ancor prima che dalla pronuncia dura di alcune consonanti - dal fatto che non ha strappato via i suoi giocattoli dalle mani di mio figlio.
Era felice, è andato a prenderne altri per farlo divertire.
E quando gli ho suggerito che la mazza da baseball che diceva di cercare era molto probabilmente quella che mio figlio brandiva in aria contro invisibili nemici, ha fatto spallucce.
Io e C. abbiamo giocato a calcio in cortile mentre mi confidava: "io non mollo mai".
C. ha sei anni, è rumeno e non è il primo che conosco.
Non mollano mai, verissimo. Sono tenaci, volenterosi. Sorridono spesso come se il sorriso fosse la cosa che più gli è mancata.

Il secondo bimbo conosciuto ieri, G. J., di anni ne ha tre.
I suoi genitori sono di religione sikh e, per tradizione, G.J. porta i capelli lunghi raccolti in una treccia fissata sulla sommità della testa a formare un piccolo chignon.
Mi è stato raccontato dai nostri amici che questa pettinatura per noi inusuale ha turbato a tal punto le mamme dei suoi compagni dell'asilo nido che hanno montato su un casino con le maestre sostenendo che l'olio aromatico usato per l'acconciatura causava allergie ai figli.
G. J. è stato messo in disparte dagli amichetti i quali, senza l'intervento dei genitori, avrebbero convissuto in pace con un bimbo che ama il pallone e Spiderman come loro.
G.J. ha sviluppato una forte personalità e una grande empatia. Ha stretto la mano a mio marito per presentarsi e ha asciugato le lacrime a mio figlio che piangeva per una disputa di gioco. La sua pediatra dice che di bambini così speciali ne avrà incontrati due in tutta la carriera.

Oggi poi ho visto "Welcome" e vorrei scrivere qualcosa ma non riesco. Vedetelo e fatelo vedere.
Grazie.

venerdì 3 settembre 2010

Vita da grandi

Sembra proprio che la pratica buddista + la terapia alternativa di V. (il mio amico di cui scrivevo qualche post fa) portino a risultati eccellenti nel contrastare la natura malinconica di cui alcuni (tra cui io) sono affetti.

Ad esempio ieri ero in ascensore con la mia amica P. e il suo bimbo di sette anni L. che le ha chiesto "Mamma quando è di nuovo giovedì?".

E mi sono ricordata improvvisamente con grande tenerezza - ma senza alcuno strascico di dolore proustiano - di quando:
ignori i giorni della settimana;
puoi disinteressarti dell'orologio;
a pranzo dai nonni guardi "La signora in giallo";
gli adulti comprano giornali verbosi e noiosi ma per te le figurine;
la maestra ti vuole bene come nessun capo mai;
i giorni di pioggia ti fanno felice perché metti gli stivali di gomma per saltare nelle pozzanghere;
non hai perso nessun amico o amante e nessun amico o amante ti ha ancora perso;
Babbo Natale è una specie di supereroe che in una notte percorre tutto il pianeta dotato di poteri telepatici per regalare a ogni bambino esattamente ciò che vuole.

Ma sono felice dell'età che ho perché:
ogni settimana sono sicura ci sia il sabato che il buon Leopardi aveva già individuato come giorno più bello;
posso guardare i film di Tarantino, Lynch e Cronemberg;
quando piove posso cantare a squarciagola "Kiss the rain" disinteressandomi del giudizio degli altri;
ho mantenuto gli amici che contavano;
ho scelto la religione che sento giusta per me;
il supereroe con poteri telepatici è mio marito e il vantaggio è averlo vicino tutti i giorni e non solo la notte di Natale.