mercoledì 7 luglio 2010

Al di qua e al di là dell'Oceano

L’amico di cui nel post sotto era di ritorno dal Shortfilm festival di Palm Springs, California.

Oltre al proprio corto proiettato nel buio di una sala cinematografica in terra statunitense (che per chi fa cinema è come se Babbo Natale fosse tornato in vita), ha fatto esperienza di alcune belle visioni, altre discrete, altre ancora evitabili.

Ma soprattutto è tornato riportando la notizia che anche al di là dell’Oceano se metti un tot di energia per realizzare il tuo film (corto o lungo che sia) ne devi mettere altrettanta, se non di più, per sponsorizzarlo e sponsorizzarti, farti conoscere, fare il simpatico. In sostanza tanto più ti facevi vedere nei locali la sera, tanta più gente si vedeva in sala quando toccava a te.

Così ho pensato a feste e festini romani, alla strategia del farsi notare non per essere selezionata come velina o al grande fratello, ma semplicemente perché qualcuno legga la tua sceneggiatura, il tuo soggetto o guardi il tuo showreel.

Ricordo - per fortuna ho smesso presto di frequentare, non di scrivere - del grande interrogativo che ci dilaniava: portare il malloppo o il dvd alla serata, rischiando di infastidire il divino interlocutore mollandoglielo lì, tra un martini e una tartina, o rimandare la consegna al giorno dopo rischiando di venire dimenticati dopo il quarto mojito e essere liquidati gentilmente l’indomani dalla segretaria?

A noi, superbi o lucidi, che crediamo sia l’opera a dover parlare, a dover convincere, a noi che vorremmo uscire con gli amici e lavorare con chi è del nostro settore e non il contrario, dedico la mia amarezza e quanto segue:

“Eccellente commediante, Ward aveva scoperto che la giovialità procurava servigi preziosi in quel gioco che consiste nel farsi strada nel mondo.”
(Jack London, “The mexican”)

“Ma quando hai fatto dello scrivere la tua professione? È solo e sempre stata la tua religione. (…) Poiché questa è la tua religione, lo sai che cosa ti sarà chiesto quando morirai? Ma prima lascia che ti dica che cosa non ti sarà chiesto. Non ti sarà chiesto se stavi scrivendo qualcosa di magnifico o di commovente al momento della morte. Non ti sarà chiesto se era un racconto lungo o breve, triste o lieto, se avevi già trovato un editore o non ancora. E non ti sarà chiesto se ti sentivi in forma, scrivendolo, o meno. Non ti sarà chiesto neppure se avresti proprio desiderato scrivere quel racconto o romanzo sapendo che i tuoi giorni erano al termine (…). Sono sicuro che ti saranno poste solo due domande. Seguivi le tue stelle quando scrivevi? Ci stavi mettendo tutto il cuore?”
(J. D. Salinger, “Seymour. Introduzione)

1 commento:

  1. come direbbe Rilke, scrivi per te stesso, perché non ne puoi fare a meno e perché ti senti realizzato solo quando fai qualcosa, ci sudi sopra, e alla fine ti inorgoglisce. i festini e i leccaculo ci sono sempre stati e hanno sempre e solo prodotto arte scadente, magari di tendenza al momento ma del tutto dimenticata a breve termine.

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