venerdì 16 luglio 2010

"Gli occhi parlano."


Non c’è un incipit solo. Gli inizi sono tre perché, messo di fronte alla propria vita da raccontare, Esposito non sa scegliere. Da dove si inizia a raccontare una vita? E, volendo scegliere una parte di essa, nuovamente si pone la questione: da quale frammento cominciare?

Perché l’esistenza si frantuma in mille schegge (il privato, il lavoro, l’impegno civile, l’amicizia) per scoprire, e questa è la grandezza del film a mio parere, che ogni scheggia ripete lo stesso disegno dell’altra e dell’esistenza intera.

È un film sulla passione e sull’ossessione. Che inchiodano, che costringono a tornare sempre nello stesso punto (di una stazione o dell’anima), che regalano senso alla vita e che la fanno ricominciare anche se “sarà un po’ complicato”.

È un film sul ricordo che, col trascorrere del tempo, non sapresti più dire se è tale o se è il ricordo del ricordo. Sul perdono, sulla vendetta. Sui lineamenti di una persona che in chi ha amato si sfocano e invece si stampano a fuoco nella mente di uno sconosciuto.

È un film sul coraggio, che Irene, Esposito, Sandoval declinano ognuno a modo suo.

Oscar meritato. Applausi.

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