lunedì 19 aprile 2010

Ah le mamme

Airam è diventata mamma.
Airam è una grande amica, anche se lontana. L’ho vista per pochi giorni da quando è nato il suo cucciolo. Ora più che altro la immagino che lo abbraccia, che lo guarda e che guarda alla sua nuova vita.

E ripenso a quando ero io mamma da pochi giorni.
E mi ricordo di quel tornare al mondo te stessa e moltiplicata. La felicità indescrivibile. L’interrogativo insolubile se mi riconoscessi più in me stessa o più nella creatura che avevo creato. Quell’estrema vulnerabilità che tutti gli estranei credono appartenere solo al neonato e invece è anche della mamma.
E poi quel negare di essere cambiata. Continuavo a sostenere di non essere diversa. Chissà perché doveva sembrarmi così importante. Forse perché le mamme nell’immaginario collettivo diventano creature sdolcinate, prive di istinti e attrattive sessuali, dipingono le camerette di colori pastello e non vogliono più leggere  i quotidiani.
Poi per fortuna è intervenuto mio cognato, con la sua discrezione ancora più preziosa in questi momenti. E mi ha detto “Certo che sei cambiata. Come potresti non esserlo? Ora sei mamma, prima non lo eri.”
(Guai a parlar male degli ingegneri, ci tengono attaccati alla terra con i ponti e le parole.)

È vero, è la cosa più vera che abbia mai sentito. Come potrei essere la stessa? Prima disponevo del mio tempo liberamente, poi ogni tre ore al massimo dovevo essere a casa per allattare. Prima potevo accettare qualunque incarico lavorativo, farmi gli antiemicranici quasi in endovena, bere alcol, caffè, deprimermi pensando di non aver combinato nulla di buono nella mia vita. Poi mi sono ritrovata a rifiutare le trasferte, convivere col dolore, niente alcol, poco caffè e non posso più sprofondare nei baratri wertheriani del malessere. Ci sono due occhietti vispi che mi tengono d’occhio.

Questa è una canzone che abbiamo scritto io e Airam tempo fa (mio il testo, sua la voce e la musica). Era il nostro omaggio a De André, Fossati e a una vacanza in Provenza. Quando non c’erano ancora biberon, pappe e pannolini nei bagagli. E neanche l’idea di quanto fosse bello aiutare un essere umano a crescere.


A chiamarti la notte

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